La Parola di Dio nella città

La Parola di Dio nella città

 

DIFFICOLTÀ DELLA FEDE NELLA GRANDE CITTÀ

 Ci sono tante caratteristiche della civiltà urbana che si potrebbero sottolineare perché fanno difficoltà all’esercizio pratico della fede; io ne ricordo tre, fondamentali:

1. La prima, che potremmo chiamare la frammentazione o parcellizzazione della vita.
Essa è causata da un fatto molto semplice: anzitutto, dalla diversità tra luogo di residenza, luogo di studio, luogo di lavoro, luogo di svago, con la conseguente dispersione degli orari familiari e anche con la molteplicità delle appartenenze: si appartiene, insieme, alla Chiesa e alla squadra di calcio, al partito e al sindacato….  E tale frammentazione opera una divisione della vita, la rende più faticosa e per questo la gente è sempre più nervosa, eccitata, affrettata.

2. La seconda caratteristica: nella grande città, in genere nella civiltà metropolitana, il cristiano vive convivenze logoranti e dirompenti. E designo con questa espressione la contiguità, nel nostro mondo, di ambienti vitali improntati alla fede e ambienti vitali segnati da laicismo e indifferentismo.

3. Terza caratteristica della civiltà metropolitana è quella delle appartenenze parziali, da cui poi derivano soggettivismo ed eclettismo.
In sintesi, nella grande città, e oggi da noi un po’ dappertutto, convivono tipologie religiose diversissime, da cui derivano poi forme di appartenenza parziali alla Chiesa e di adesione parziale alla fede; e quindi si ha un crescente eclettismo e soggettivismo in campo religioso. Ciò è stato molto sottolineato anche da alcune statistiche, domandando: quante persone credono davvero che Gesù è Figlio di Dio? Quante credono che c’è una vita dopo la morte? Le statistiche sono spesso impressionanti.

 Le tre caratteristiche negative che cercano di corrodere la fede, vanno contrastate con tre caratteristiche opposte:
1) una profonda unità interiore della vita;
2) delle convinzioni radicate;
3) una totalità di dedizione, cioè una coerenza tra fede pensata e fede vissuta.

  LA RISPOSTA DELLA LECTIO DIVINA

Come aiutare, dunque, i nostri fedeli in questo cammino, cammino che è sempre da riprendere, ma di cui la meta deve essere chiara: fede “personale, illuminata, convinta, testimoniante”?
Ecco, la risposta pratica che io suggerisco, una risposta da privilegiare, è certamente quella della lectio divina.

E io lo esprimo costantemente nel cammino pastorale della mia diocesi: tra i mezzi che possono far superare la frammentazione dello spirito nella grande metropoli, quello che ritengo più efficace è di educare i fedeli all’esercizio paziente, metodico, tendenzialmente quotidiano, della lectio divina. E considero tale strumento veramente formidabile e provvidenziale.

Con questo termine io intendo la capacità di mettersi di fronte a una pagina della Scrittura per leggerla in spirito di fede e di preghiera, così da entrare nel mondo di Dio, nel suo piano di salvezza, ed entrare nei sentimenti e nelle scelte di Cristo, in maniera da smascherare le insidie della mentalità mondana, proprie della grande metropoli, così da giungere a considerare tutta la realtà secondo la mente e il cuore di Cristo, cioè unificare tutto in Cristo contro la frammentazione e il logoramento della fede nella grande città.

 Questo rimedio provvidenziale per il nostro tempo è quello che è stato raccomandato dal Vaticano Il nella Dei Verbum, la quale esorta che tutti i fedeli abbiano accesso anche diretto alla Sacra Scrittura, – tutti i fedeli – la leggano frequentemente e volentieri, imparino a pregare su di essa, per conoscere Gesù Cristo in maniera eminente.(cfr. DV cap.VI)
Perciò il Concilio, proponendo la lectio divina tendenzialmente per tutti, almeno come meta pastorale a cui tendere, ci pone davanti a una compito nuovo. Quindi non c’è da stupirsi che ci vogliano decenni e decenni prima di arrivare a fare qualcosa di serio in questo senso.

È un fatto talmente nuovo che ho proposto più volte – e lo richiamo ancora qui, il mio desiderio e quello di parecchi altri Vescovi – che un giorno o l’altro si faccia anche un Sinodo universale sulla lectio divina o, meglio, sul capitolo VI della Dei Verbum, per domandarci come abbiamo capito la Dei Verbum a 30-35 anni dal Concilio Vaticano II, che cosa ne abbiamo fatto nella Chiesa di queste raccomandazioni.

 

I FRUTTI DELLA LECTIO DIVINA

Non mi dilungo oltre sulla lectio divina. A me preme insistere soltanto su qualche passo specifico.

* Non è lectio divina il prendere ogni tanto in mano, da soli o in piccoli gruppi, qualche pagina della Bibbia. Anche se è un ideale alto, bisogna dire che la lectio divina è un esercizio ordinato, programmato, non casuale, non episodico; è un esercizio fatto in un clima di silenzio e di preghiera. E soprattutto – questo è duro da fare accettare, ma idealmente è così – è una lettura continua di tutta la Bibbia, secondo il modello che, del resto, ci propone la liturgia nel triplice ciclo delle letture per le Messe domenicali e nel duplice ciclo delle letture feriali. Quindi, la lectio divina, così come la intendiamo, è un atto che si compie in comunione con la Chiesa, che legge tendenzialmente tutta la Scrittura, e tende quindi ad una lectio continua e globale, almeno come orizzonte di riferimento, e quindi al di là della frammentazione di questo o quel brano soltanto.

* La lectio divina non sostituisce né la catechesi né le altre iniziative di insegnamento né il lavoro di aggiornamento culturale che ciascuno deve compiere, per essere un cristiano adulto; a mio avviso, è il fondamento, è la prima parte, è l’inizio di una catechesi cui si affianca di continuo una catechesi più sistematica.

* Tuttavia la lectio divina fa qualcosa che i discorsi, le prediche e le catechesi di per sé non possono fare: cioè, pone il singolo di fronte a Dio che gli parla, che lo istruisce,  che lo scuote, che lo invita, che gli promette qualcosa, che lo chiama; e quindi pone ciascuno in un’atmosfera di dialogo, di richiesta umile di perdono, di domanda di luce, con la disposizione a lasciarsi guidare dallo Spirito Santo per realizzare l’offerta della propria vita a Dio. E quindi attua quella interiorizzazione, quella presenza di convinzioni radicate dentro, che è il contrario di ciò che, invece, tendono a promuovere le convivenze logoranti e dirompenti, di cui abbiamo parlato a proposito della grande città.
Per questo diciamo che è uno degli strumenti provvidenziali perché il cristiano dell’anno 2000 mantenga la fede e la viva intensamente anche in una società piuttosto secolarizzata. La lectio divina favorisce quella coerenza pratica e integrale della vita, che è il contrario delle appartenenze parziali e dell’ecclettismo religioso.

Ecco, è questa la lectio divina che dobbiamo insegnare alla, gente. In caso contrario, si tratta solo di accostare la Scrittura come Libro interessante, come Libro stimolante; a poco a poco questo entusiasmo per la lettura della Scrittura, generato dalla novità, diminuirà, oppure sarà bruciato troppo in fretta dall’ansia di fare subito applicazioni immediate, o sarà troppo intellettuale o troppo occasionale.

Mi sembra, dunque, che le indicazioni del Vaticano II sull’accesso diretto alla Bibbia da parte dei fedeli, non possano e non debbano essere disattese. Nel nostro mondo occidentale ci troviamo in un contesto pubblico quasi ateo, in cui il mistero di Dio è quasi assente dai segni esteriori della vita e della società; siamo minacciati da un’aridità interiore, che rischia di soffocare le coscienze e non fare più avvertire, nell’esperienza quotidiana, il gusto del Dio vivo. Soltanto se alimentiamo la nostra fede in un contatto personale con la Parola, riusciremo a passare indenni attraverso il deserto spirituale, che è l’Europa moderna.

(Card. C.M. Martini)