Testimonianze

IL FUOCO DEL MISSIONARIO E LA SOAVITA’ DEL MONACO

Quando, sette anni fa, sono arrivato come vescovo a Casale, scorrendo l’elenco dei miei preti, mi sono imbattuto in un nome: don Arturo Giaccone.
Mi venne allora improvvisamente alla memoria che, molti anni prima, l’avevo incontrato negli anni in cui, rientrato dal Neuquèn, animava in Italia la partecipazione di sacerdoti “Fidei Donum” verso l’America Latina.
Così lo andai a trovare a Cumiana e lì si è rinsaldata la stima di tanti anni fa, confortata da una nuova ammirazione per questa sua ultima (e definitiva) vocazione di monaco.
Ma monaco ancora e sempre missionario.
È fra questi due apparenti estremi che io colloco mentalmente la figura, esile e forte, di questo fulgido testimone. Egli è per me il monaco e il missionario insieme.
Quando torno in Argentina in quella porzione di Patagonia che è il Neuquèn, mi imbatto nel ricordo della sua appassionata figura di missionario, ardente e focoso.
Era un “uomo di fuoco” e la passione per la missione lo bruciava, anche nella ricerca di un modello di monachesimo contrassegnato dal silenzio e dalla povertà, ma per nulla estraneo all’impegno di “comunicare il Vangelo”. Era questo il fuoco che gli ardeva in cuore: comunicare, comunicare la Parola, il Vangelo, Gesù Cristo.
Così questa fiamma alimentava nella seconda parte della sua vita – quella monastica – la sua costante dedizione alla “Lectio Divina”, vero, incancellabile tratto della sua spiritualità irradiante.
Monaco, dunque, nello sprofondarsi in un fazzoletto di terra e in un angolo di casa.
Monaco nella povertà più assoluta e nel distacco più drastico.
Monaco nell’amore alla meditazione e alla contemplazione divenuta ragione di vita.
Monaco anche nel lavoro della terra (fin che la fragile condizione di salute lo sostenne) e nella fatica di un’esemplare austerità.
Monaco in tutto e fino all’estremo respiro concessogli da una estenuante malattia che ne ha consumato la vita come una candela.
Ma monaco non in fuga. Monaco in ricerca. E più ancora monaco per comunicare.
Non si è spenta la sua luce sul monte. Non si è inaridita la sua sorgente.
E non ci resta che augurarci, come in un sogno (ma è lecito sognare), che la piccola fondazione monastica, da lui custodita come una fragile creatura, continui a far zampillare acque fresche di verità e di vangelo per la sete di molti.
Nel suo nome e nella sua memoria; nel suo esempio che trascina; lungo il sentiero da lui tracciato, con il fuoco del missionario e la soavità del monaco.

X Germano Zaccheo
Vescovo di Casale M.to

IL “VIZIO” DI DISTURBARE

Arturo era fatto così, lo sapevano tutti. Voleva andare a fondo nelle questioni. Pretendeva capire, dissipare tutte le ombre, eliminare le incertezze.
Rischiando in proprio e pagando regolarmente di persona.
Tutto ciò ha un nome preciso nel lessico spirituale: radicalità evangelica.
Don Arturo non tollerava le mezze misure, era allergico ai compromessi. Lui era convinto che la “giusta misura”, in termini evangelici, è l’eccesso, la dis-misura.
Parecchia gente, anche rivestita di autorità, attestata sul versante della prudenza umana, lo considerava un esagerato, perfino un esaltato, un utopista.
Parecchi lo seguivano, perché avvertivano in lui un timbro di autenticità, passione genuina, disinteresse. La stessa sua ingenuità, l’assenza disarmante di ogni tattica diplomatica erano segni inequivocabili della purezza degli ideali che lui personalmente viveva e che cercava di inoculare anche negli altri.
Certo, le posizioni rispetto agli anni del Seminario si erano invertite. L’esigenza, quasi l’ossessione di vedere tutto chiaro, evidente, aveva lasciato il posto all’oscurità luminosa dell’adorazione. Era diventato una creatura “pacificata”, pur rimanendo capace di indignazione. E la lettura assidua della Parola di Dio non costituiva un tentativo di mettere insieme idee chiare e distinte, ma era un inoltrarsi nel deserto, un penetrare nel territorio sterminato e affascinante del Mistero.
Da vecchio amico, che, tra l’altro, in un recente momento doloroso, ha ricevuto da lui commoventi testimonianze di vicinanza e conforto, non riesco che a dirgli: “Grazie, caro don Arturo, per il disturbo. E, mi raccomando, non smettere di scuoterci e inquietarci anche da lassù…”.

don Alessandro Pronzato

 

ANNO BENEDETTO!

Caro don Arturo,
… stavolta ho deciso di scriverti. Prendo la matita, un foglio di carta, mi siedo al tavolo della cucina… ma invece di scrivere mi sale un groppo alla gola e mi metto a piangere, un pianto che non riesco a frenare. Lo so che non dovrei, perché tu sei alla presenza di Dio, quel Dio che hai amato tanto.
“Quattro parole”? Ci andrebbero almeno quattro volumi per raccontare le meraviglie della tua vita, le preghiere, le prediche, i richiami, i consigli e anche i piccoli litigi, specialmente all’inizio, quando facevo più fatica ad entrare nell’ottica dell’obbedienza. Obbedienza! Una parola da mettere, come minimo, sul solaio, in questi tempi.
1987. Perché questa data così evidenziata? È l’anno in cui ti ho incontrato: anno benedetto!
Ho sentito dire in paese che a San Valeriano sono arrivati dei monaci un po’ strani, che vivono in miseria, il che non è vero: vivono in povertà, lavorando la terra e allevando qualche coniglio e gallina. Comunque la curiosità mi ha preso, e ho voluto andare a vedere di persona.
Prendo una borsa di verdura nell’orto e vado su. Là non vedo nessuno. La porta della Chiesa è aperta, e allora entro per dire una preghiera. Sento camminare pian pianino dietro di me, mi volto e ti vedo. Sì, eri proprio tu!, quel prete che ha cambiato la mia vita. Benedico mille volte quel giorno.
Ti avvicini, ci salutiamo, finiamo insieme la preghiera, poi usciamo parlando del più e del meno, come si fa di regola per “attaccare bottone”. Io cercavo di capire, di saperne di più sulla Fraternità facendoti domande, cui tu gentilmente rispondevi. Ma tu, da buon “ragno”, stavi già studiando come far cadere la mosca nella ragnatela. E ci sei riuscito!
Ammettilo, però: te ne ho dato del filo da torcere! (Scusami se ti parlo così scherzosamente, ma tu conosci bene il mio carattere, e sai che non so essere serio neppure quando piango).
E intanto, parlando parlando, il tuo discorso “per caso” va a finire sulla Lectio divina, sulla Bibbia… Naturalmente di queste cose io non ci capisco niente, però un po’ di curiosità mi è venuta. Intanto tu mi spieghi che in autunno si sarebbe iniziata “questa cosa”, e senza tanti giri di parole mi inviti a partecipare. Ed io, sempre più per curiosità che per altro, mi lascio convincere, certo di lasciare tutto alla prima occasione. A dire il vero ogni volta che mi sono poi trovato di fronte a certe pagine di Vangelo questa tentazione mi ha colto. Ma questo succedeva 15 anni fa… e sto ancora aspettando “la prima occasione”!!
Così continuo a salire lassù, per la Lectio divina, e ogni volta che apro la Bibbia ti sento con me. Apro la prima pagina e leggo, su quella Bibbia che tu mi hai regalato:

Al carissimo Ugo, con l’affettuoso augurio perché, con la cara Liliana, si chini sulla Bibbia per ascoltare i battiti del cuore di Gesù e avere luce e forza per camminare verso la santità. Con tanto affetto
don Arturo

E non so trattenere le lacrime.

 Ugo

ex-operaio, delle Piccole Fraternità della Parola

QUEL FUOCO INTERIORE

Ho ricevuto molto da Padre Arturo Giaccone. La sua fede limpida, la sua capacità di ascolto e di comunicazione, il suo vivo senso di accoglienza sono stati per me un forte stimolo ed aiuto nel mio ministero episcopale a Pinerolo.
Ci siamo frequentati per 15 anni e ho seguito il cammino di questa piccola Fraternità monastica nata da poco tempo. Ho condiviso ideali e speranze. Ho riconosciuto in essa un “dono” di Dio per la sua Chiesa.
Padre Arturo era l’anima di San Valeriano. C’era in lui un fuoco interiore che lo bruciava e che egli irradiava a tutti coloro che lo incontravano. Era un innamorato della Parola di Dio. San Valeriano era diventato un luogo privilegiato di preghiera biblica, di silenzio, di ascolto, di rifornimento spirituale. Molti ne hanno fatto l’esperienza. Non sono pochi coloro che hanno riscoperto la fede che avevano abbandonato.
Padre Arturo, missionario e monaco del nostro tempo. Una vita monastica aperta, ricca di preghiera, di povertà, di accoglienza.
Grazie, Padre Arturo! Continua a parlarci con la tua luminosa testimonianza evangelica.

X Pietro Giachetti
Vescovo emerito di Pinerolo

 COSI’ RICORDO PADRE ARTURO

Quale ricordo di don Arturo? Forse è bene distinguere due periodi.
Quando ero adolescente e a Casale Monferrato lo ascoltavo, predicatore. Ero pieno di stupore e di ammirazione per la sua capacità comunicativa, coinvolgente sino all’emozione. Ma anche mi sentivo impari ad attuare le sue sollecitazioni.
Il secondo periodo è al suo ritorno dall’esperienza missionaria multiforme in America Latina. Ho condiviso in pieno il suo desiderio ed esigenza di vivere la radice della missionarietà: il dono della Parola di Dio “spezzata come pane fragrante del Signore”. Per questo ho tentato di essere vicino sia nella stagione di Montecroce (Villamiroglio), sia in quella di San Valeriano (Cumiana).
Anch’io, nel mio piccolo, vivo di una eredità che non è solo di don Arturo, sacerdote integro, zelante e della coerenza radicale al Vangelo, ma di una Tradizione Apostolica di cui don Arturo e la sua piccola comunità (in fratel Giorgio e sorella Maria), come “germoglio”, rivelano la perenne novità biblica (cfr. Is 43,19).

X Luciano Pacomio
Vescovo di Mondovì

 

 CONFIDENZE AD UN PADRE

 Quanto raccontato qui di seguito da una sorella delle Piccole Fraternità della Parola avrebbe potuto essere scritto da decine e decine di altre persone che a P. Arturo si sono rivolte perché le accompagnasse, con la sua carica umana e la sua profondità spirituale, nel cammino della vita. Davvero tanti lo hanno avuto come “Padre”!

 Mi riesce difficile pensare a te, padre Arturo carissimo, parlare di te al passato, perché la forza della tua presenza continua oggi a permeare e orientare la mia vita e quella della comunità.
Mi rendo conto sempre più del dono grande che ho ricevuto incontrando in te una guida spirituale illuminata, dotata di quella speciale acutezza interiore capace di andare direttamente al cuore, cogliendone l’intimo desiderio di Dio, a volte nascosto o sopito.
Procedendo da soli si corre il rischio di percorrere il cammino di fede barcollando come ciechi senza individuare la strada giusta, disperdendosi in sentieri tortuosi che allontanano dalla meta facendo sprecare tempo prezioso; per mezzo tuo lo Spirito mi ha aiutata ad aprire occhi e cuore, a prendere la vita sul serio, a camminare verso quella perfezione interiore che conduce a Dio, nonostante la mia miseria, imperfezione, inadeguatezza. Solo un vero uomo di Dio può condurre con sicurezza a orientare ogni momento della vita, ogni scelta, ogni azione secondo il pensiero di Dio, può aiutare a scoprire il progetto d’amore che il Padre ha su ciascuno.
E tu, padre Arturo, sei uomo di Dio.
Ho sempre percepito che nella preghiera intensa e continua che animava la tua vita ci fosse un posto anche per me, come per ciascuno dei tuoi figli spirituali, e questo è un pensiero che continua ad accompagnarmi e sostenermi.
Nel tuo atteggiamento non ho mai riscontrato buonismo o facili parole consolatorie, banalità o superficialità; sorprendeva la tua schiettezza, la lucidità interiore che ti permetteva di fondere nei momenti opportuni e in modo armonico rigore, tenerezza, delicatezza, intransigenza, comprensione, misericordia…..
Ricordo con nostalgia la tua accoglienza fraterna, la disponibilità totale anche nei momenti di stanchezza fisica; ultimamente traspariva la tua fatica nel parlare, ma si evidenziava ancor più il forte desiderio di aiutare un’anima in ricerca.
Quanta luce, chiarezza, forza e serenità da quegli incontri! Forse anche per quel tuo modo di considerare ogni persona in una visione globale: spirituale, fisica, psicologica; ho sperimentato quanto un buon cammino spirituale contribuisca alla crescita armoniosa dell’essere umano nella sua completezza.
Le tue forti sollecitazioni mantenevano il cuore sempre vigile, in quella salutare inquietudine che rende vivo il desiderio di proseguire l’avventura sempre nuova del cammino di fede, scoprendo che, passo dopo passo, la sequela di Cristo allarga lo sguardo su nuovi orizzonti.
La lucidità interiore, la capacità di discernimento e la Carità che animava ogni tuo rapporto coi fratelli, erano segno visibile che nella tua vita era Cristo il tuo Tutto: l’amore per Lui vibrava e traspariva da ogni tua parola e dalla tua vita.
Ogni incontro con te è stato un dono prezioso che lascia una traccia nel cuore.

Livia

delle Piccole Fraternità della Parola

 

AFFERRATO DALL’ASSOLUTO

Resta vivo in me il suono della sua voce accogliente, decisa, sempre e tutta orientata al BENE, a Dio, al suo Assoluto. Ora che è nella luce di Dio e vede meglio le nostre necessità siamo sicuri di avere un protettore e intercessore fedele, potente, poiché egli ha dato tutto se stesso senza limiti fino all’ultimo e in cielo la carità è perfetta.
Ho avuto la gioia e il privilegio di conoscere il Padre da ragazza – nel ‘60, quando sognavo l’Assoluto e la Certosa come il deserto del Cantico ove LUI mi avrebbe condotta per parlarmi al cuore. Don Arturo si è affacciato alla mia anima in quel momento facendola vibrare ancora più forte. Fu un momento di grazia particolare… e le note che ne scaturirono mi accompagneranno in tutti i miei passi, cadenzandone il ritmo a quello della grazia, finché giungerò anch’io a lodare Dio con gli Angeli e coi santi nella dossologia finale, eterna: “lodate il Signore perché eterna è la sua misericordia”.

 una Certosina

IN TANTI LO HANNO CHIAMATO “PADRE”

Parlare di una persona a cui si è stati legati da lunga e sincera amicizia non è semplice. Si è inesorabilmente di parte. Non vorrei farne un santo prima del tempo e nemmeno cadere in frasi scontate o banali. Lasciate che parli come il cuore mi suggerisce. Vi voglio parlare di Don Arturo Giaccone: sacerdote della Diocesi di Casale, viceparroco e trascinatore di giovani; missionario, in Italia ed in Argentina, desideroso di portare a tutti l’annuncio del vangelo ed infine fondatore della Fraternità monastica di Montecroce.
Un percorso, personale e sacerdotale, molto vario con un crescendo di radicalità nella sequela di Gesù da diventare consigliere ricercato da laici e preti, animatore seguito di “scuole di preghiera” e “lectio divina”.
Don Arturo non si è mai dato per vinto nel perseguire i progetti che, via via, il Signore gli suscitava nel cuore. Aborriva il compromesso o le mezze misure.
Quando la CEI gli affidò l’incarico di promuovere, in Italia, un’azione a favore dell’America Latina, come sempre si buttò a capofitto nella nuova impresa, attrezzandosi con gli strumenti che potevano permettergli di “predicare sui tetti ciò che aveva ascoltato nel segreto”.
Eppure proprio quando quest’opera stava giungendo al suo apice, ecco sentire un altro richiamo: la vita monastica in cui la preghiera e non la predicazione avesse la parte principale. Non mi sembrava possibile che l’organizzatore, appassionato e mai stanco, di tante iniziative pastorali potesse iniziare una vita di silenzio, di raccoglimento e di meditazione. L’Abate Magrassi, che nel settembre 1971 l’aveva accolto, nell’abbazia benedettina di Noci, aveva ben compreso che non sarebbe stato facile per Don Arturo passare da una vita piuttosto frenetica a quella monastica segnata da lunghi spazi di silenzio. E gli disse, nel giorno della vestizione monacale: “Dopo di aver imparato a fare il predicatore e il missionario ora dovrai imparare a fare il monaco”. E dobbiamo riconoscere che ha imparato a fare il monaco molto bene. Prima era lui che andava a cercare le persone entrando in ogni luogo che la decenza sacerdotale glielo consentisse, in seguito furono gli altri a cercare lui, attirati da quella nuova forma di vita che lo faceva sentire tutto di Dio e quindi più facilmente mediatore con le realtà soprannaturali.
Così lui, che era figlio unico e con pochi parenti, è diventato il “padre” amato e onorato da centinaia di persone.

don Carlo Grattarola

 

 UN PADRE

Ti abbiamo conosciuto come “uomo di Dio” in quanto ogni tua parola era impregnata del suo Amore e della sua presenza; quante volte durante le confessioni, nel tuo parlare profetico e paterno abbiamo sperimentato l’Amore di Dio e la forza della Sua Parola che ti avvolgeva. Ci hai trasmesso, oltre alla Parola, l’obbedienza ad essa, il grande dono di vivere la Comunità, l’Amore per i poveri e i deboli, quei poveri che al solo nominarli traspariva dal tuo volto e dalla tua voce una profonda commozione; e ancora: la famiglia e la sua vocazione, la tua amata Chiesa…
Dal tuo aspetto apparentemente duro traspariva la tua sensibilità per i drammi dell’umanità. Ci hai parlato di adozione, consigliato di essere famiglia aperta verso i bisogni altrui sensibilizzando i nostri cuori.
Così Marina è anche lei fra noi, perché tu avevi preparato il terreno per farci accogliere il seme al momento giusto, che non ha tardato ad arrivare, e tu hai ancora potuto vedere il suo frutto.

Carmela e Gianni

delle Piccole Fraternità della Parola

 LA PAROLA VISSUTA

Se tra i tanti doni ricevuti da Padre Arturo dobbiamo scegliere l’eredità più preziosa che portiamo in noi e che speriamo di conservare sino alla fine della corsa, scegliamo senza dubbio questa: la centralità della Parola nella sua vita e l’averci indicato, con le sue scelte, che la Parola non è utopia, ma deve e può essere messa in pratica. Sotto questo aspetto non avevamo mai incontrato nessuno come lui: sin dal primo incontro con lui, ci comunicò quest’ansia di vivere come la Scrittura gli dettava, con l’esempio di Gesù a trascinarlo, senza aspettare che altri gli dessero ordini o indicazioni di percorso.
La Lectio Divina vissuta insieme a S. Valeriano ha risposto a quella che credevamo la nostra unica esigenza : approfondire la conoscenza della Parola di cui avevamo sete. Solo dopo abbiamo capito che non era tutto lì, che questo era solo il primo passo. L’esempio di Padre Arturo e della fraternità monastica ci ha dimostrato che nella Parola c’è tutto, anche la forza per metterla in pratica.
Padre Arturo voleva anche misurarti sull’obbedienza, se necessario in modo molto duro, ma sempre allungandoti una mano per uscire dal problema, per accettare un po’ alla volta le difficoltà, ma soprattutto per accettare te stesso, conoscerti meglio e poter finalmente iniziare il tuo cammino di conversione.

Silvana e Piergiorgio

delle Piccole Fraternità della Parola

VEDERE COL CUORE

Poso lentamente il telefono attraverso il quale ho appena avuto la notizia della sua morte, e mi rivedo sul sedile posteriore della vecchia Iso a due tempi con le mani aggrappate alla vita del curato che, dritto come un fuso e bagnato come un pulcino bagnato, ne è alla guida… in quel pomeriggio immerso nella nebbia così fitta che la potevi tagliare con il coltello.
Appena affrontata la salita, la moto cominciò a tossire, come per la recrudescenza di una bronchite ormai cronica, e poi a saltellare. Invano il curato tirò la frizione, fece andar su di giri il motore, biascicò a fior di labbra qualche giaculatoria; la moto ebbe ancora qualche sobbalzo e quindi, dopo essersi impennata come un cavallo al galoppo improvvisamente frenato dalle briglie, si fermò.
Non ci fu nulla da fare: ai nostri disperati tentativi, il motore rispondeva con sordi grugniti o, al massimo, con qualche scoppiettio…
“Non c’è niente da fare — dissi io — bisogna proseguire a piedi”.
“Io guido il manubrio e tu spingi di dietro sul sellino…”.
“Andare a piedi per andare a piedi
— azzardai io — è meglio lasciar qui la moto….”.
“Lo so, cristiàn
– mi rispose il curato – questo lo dice la logica.., e il buon senso… ma quando arriviamo su, se l’Angiolina si accorge che siamo venuti a piedi sobbarcandoci questa corvè per lei, rimane male, la mettiamo in imbarazzo e le togliamo la gioia della nostra visita”.
Era il primo venerdì del mese e la vecchia Angiolina, immobilizzata da una vita sulla sedia a rotelle, attendeva con ansia la visita del curato che le portava, con la comunione, il conforto della presenza di una persona con cui aprirsi e soprattutto parlare. La vecchia Angiolina era pressoché sempre sola in casa.
In casa l’aria era avvizzita, pesante; sapeva del rancido di minestroni bolliti e di finestre sempre chiuse.
Il curato aprì la finestra, si avvicinò all’Angiolina, la accarezzò. All’Angiolina prese a scendere una lacrima sulle gote stanche, ed anche al curato brillavano gli occhi (ed anche a me). Le diede la comunione, poi parlarono a lungo mentre sulla stufa bolliva l’acqua che io ero andato ad attingere al pozzo. Il curato la lavò, le mise in ordine il vecchio grembiule nero e le ravvivò i capelli.
Mi fece cenno di avvicinarmi e di inchinarmi.
Bel fiulin… -. mi disse l’Angiolina accarezzandomi – bel fiulin… hai degli occhi proprio belli, buoni…”. Io rabbrividii perché la vecchia Angiolina… i suoi occhi erano spenti.
Gli occhi sono spesso ciechi… – mi mormorò il curato – anche quando vedono. Bisogna guardare, cercare … con il cuore… non con gli occhi”.
E solo con il cuore cercava e vedeva don Arturo Giaccone.

Gianni Turino

“Ringrazio il Signore, che continua a far fiorire nel giardino della sua Chiesa uomini di Dio, persone “divinamente umane” come il caro Padre Arturo, prete e profeta dei nostri tempi!”

don Roberto, missionario in Ciad

 “L’immagine che ci resta di Padre Arturo è la sua vita schietta e trasparente, il suo sorriso e le braccia aperte ad accoglierci, la cena insieme… tutti segni di quanto lui fosse “uomo di Dio”, ed ha inciso sulla nostra vita di giovani sposi stimolandoci sempre ad allargare i nostri orizzonti”

Ausilia e Paolo

“Padre Arturo era capace di mettere nelle sue relazioni con le persone, distacco e tenerezza, così da poterle conservare sempre, anche dopo la morte. Per me è stato così: l’ho conosciuto nel lontano 1969, e da allora la mia vita è cambiata”

sr. Mariangela

 “So che Padre Arturo non si allontanerà mai da San Valeriano, da voi soprattutto, la sua comunità. È proprio vero che i distacchi misurano l’amore… L’ho incontrato di passaggio, sulla sua strada di pellegrino dell’Assoluto. Per poco, per pochi istanti, ma è bastato per conservarne un ricordo forte e vivo”

don Giorgio, salesiano

“Padre Arturo era un uomo che “faceva ardere il cuore” quando svelava il senso delle Scritture, dopo aver accettato di farsi, per un tratto, compagno di strada di chi arrivava a San Valeriano stanco ed affaticato”

Ettore